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Atti dell’Ateneo / LXX

Anno Accademico 2006-2007

Indice e abstract dei contributi:
MARIA MENCARONI ZOPPETTI
“L’AIUOLA CHE CI FA TANTO FEROCI” (PAR. XXII, 151). UNA SCOMMESSA PER
LA CULTURA.
Inaugurazione dell’ Anno Accademico 2006-2007. (pagg. 17-20)
L’Ateneo ha saputo mantenersi nel tempo ma è sfidato oggi dalla complessità di un mondo in veloce mutamento che si dimostra incomprensibile progetto per noi eredi dell’illuminismo e del positivismo. Nella nostra epoca forte è il sentimento di precarietà di fronte alle inequivocabili conquiste della scienza e della tecnica, come di fronte all’innegabile, seppur lacerato, sviluppo socio economico. Intanto che paventiamo i prossimi scenari sfuma in un sempre più lontano orizzonte il diritto al sapere e sempre più fragili di fronte al rapidissimo mutare d’esigenze e aspettative si presentano le istituzioni al sapere deputate, scollate dalla politica, trascurate da questa. Le università, in difficoltà, lottano tra di loro reinventandosi, mentre il fenomeno dei festival (della fiolosofia, della scienza ecc.) pare proporsi come nuova metodologia d’acquisizione di conoscenza non sottoposta ad alcuna valutazione d’apprendimento
Ci si combatte a colpi di numeri e di presenze e a colpi di finanziamenti : l’aiuola che ci fa tanto feroci, o il mondo in cui gareggiamo, implode in tante piccole aiuole in cui ciascuno rischia di perdere il senso della misura e il desiderio di un progetto che vada oltre l’affermazione personale. Forse dobbiamo ricorrere proprio alla metafora dantesca per tentare di comprendere la complessità del mondo e della sua finitezza, se come Dante nella sua epoca ci troviamo a rifiutare un sistema – mondo che è decaduto. Anche noi viviamo un tempo di crisi in cui lo sforzo per creare mondi nuovi sembra stravolgere tutti i valori, valori che sono alla radice dell’opera dantesca: il senso della giustizia senza di cui non c’è pace né libertà o il senso di una religiosità ricondotta ai suoi valori spirituali. Applicare la meditazione sui valori è la scommessa della cultura: è nostro compito continuare a credere che il cambiamento inevitabile vada guidato con il contributo della conoscenza, conoscenza dei luoghi, della loro storia, e degli uomini che hanno vissuto luoghi e storia.

PIERVALERIANO ANGELINI
IL NUOVO PALAZZO DELLA CAMERA DI COMMERCIO (pagg. 21-31)
Il contributo illustra la realizzazione di questo significativo edificio del nuovo centro novecentesco della città di Bergamo, progettato dall’ingegnere bergamasco Luigi Angelini, su impulso di Giovanni Ambiveri e Antonio Pesenti, i presidenti della Camera di Commercio che intendevano cambiarne la sede, situata all’inizio del XX secolo in via Tasso. Nell’autunno del 1920 fu comperato l’ultimo lotto rimasto libero dell’area della vecchia Fiera, e i lavori si conclusero nel maggio del 1925 Non vi sono dubbi sull’ascendente classico che governa l’insieme del palazzo, però non si devono trascurare alcuni elementi, non privi di significato, nelle componenti moderne dell’apparato decorativo, nell’inserimento di forme e stilemi decó. La situazione attuale non presenti sostanziali modifiche, nonostante i numerosi adeguamenti susseguitisi nei decenni per opera di Sandro Angelini.

ANTONIA ABBATTISTA FINOCCHIARO
LA COLLEZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO. LA STORIA DELLA CITTÀ, FRA XIX E XX SECOLO, IN UNA GALLERIA DI OPERE E RITRATTI. (pagg. 33-44)
La Camera di Commercio di Bergamo possiede circa 250 opere che, pur raccolte nel corso di 200 anni e dunque su ispirazione di persone e contesti diversi, possono essere lette come una vera e propria collezione, poiché si costruisce intorno a precisi filoni, in parte tratti dalla tradizione pittorica accademica, in parte significativi per l’istituzione che li gestisce.
Tutte le opere rispecchiando gli umori culturali dei tempi cui appartengono e in cui vengono acquisite dall’istituzione, tra filantropia ottocentesca e qualche retorica novecentesca, fino ad alcune sensibilità neoesistenzialiste degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Quale filo conduttore per la loro considerazione, si avverte una specifica attenzione agli autori locali, scelti fra i più bei nomi del panorama bergamasco, mentre le presenze non propriamente locali provengono da acquisti operati nel corso di manifestazioni artistiche presenti in città quali il Premi Bergamo, il Premio Dalmine, alcune estemporanee e altre iniziative simili.
Dunque la Camera di Commercio, nel suo lungo percorso storico, si è consapevolmente posta come una istituzione attenta al contesto culturale ed artistico locale, ricoprendo in esso un importante ruolo di committenza e di mecenatismo, assumendosi l’onere di privilegiare e incoraggiare in particolare gli artisti della Carrara.
I RITRATTI sono 26 e raffigurano presidenti della Camera e della Società industriale, tutti realizzati fra il 1811 e il 1990, realizzati da artisti di grande prestigio.
LA NATURA MORTA è rappresentata in diverse fasi storiche
LE OPERE DI GENERE sono rappresentate da tele già note ma anche da inediti
I PAESAGGI lasciano ugualmente spazio a inedite attribuzioni
LE OPERE DEL LAVORO comprendono il lavoro agricolo, il lavoro operaio e quello artigianale.

PIERLUIGI FORCELLA.
MUSICA SACRA A BERGAMO (pagg. 45-69)
La presente dissertazione prende in esame, senza pretese esaustive, il periodo che va dal primo ottocento agli anni sessanta del secolo scorso, in cui si ebbe il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo il quale, a distanza di un sessantennio circa, emanò nuove norme in materia di musica sacra. Attraverso i secoli la musica sacra ebbe a Bergamo una grande fioritura, dovuta sostanzialmente alla presenza della prestigiosa cappella della Basilica di S. Maria Maggiore che, all’inizio dell’ottocento ebbe un ulteriore impulso, grazie alla presenza del bavarese Giovanni Simone Mayr. Quest’ultimo, con la fondazione delle “Lezioni Caritatevoli di Musica”, dove fra i primi allievi emerse il genio di Gaetano Donizetti, diede un determinante contributo alla formazione di una numerosa categoria di operatori musicali che, oltre ad attività teatrali, si diede al genere sacro, notoriamente anch’esso di stile operistico.
Nell’ottocento, la richiesta di composizioni sacre era pressante, stante anche la presenza sul territorio di vari “contrappunti”, compagini vocali e strumentali di soli uomini che si esibivano nelle varie solennità parrocchiali in città e provincia.
Accanto a questa produzione, più “da consumo”, vennero proposti anche lavori di più ampio respiro, soprattutto da parte di autori di grande levatura che tuttavia non si allontanarono dallo stile operistico imperante.Vi fu anche una certa produzione che potremmo definire “da camera”, consistente in Ave Marie e Salve Regina, tagliate sulla forma della “romanza da camera”.
Con il “Motu Proprio” di Pio X, emanato nel 1903, meglio noto come Riforma Ceciliana, si diede il via ad un radicale cambiamento in materia di musica liturgica, eliminando ciò che di più profano veniva eseguito nelle chiese. Le autorità ecclesiastiche bergamasche si batterono in prima linea, creando subito le condizioni per l’applicazione delle nuove regole con la fondazione, nel 1923, della “Scuola Primaria di Musica Sacra”.
In precedenza, nel 1912, Vittorio Carrara aveva fondato a Bergamo le omonime edizioni musicali, le quali contribuirono in modo determinante a diffondere il nuovo verbo musicale sacro nel mondo cattolico.

UMBERTO ZANETTI.
IL MITO DELL’UOMO SELVATICO NELLA MONTAGNA BERGAMASCA (p. 71-90)
Sulla scorta dell’andromonimia, della toponomastica, dell’iconografia e delle leggende raccolte in vari tempi e in vari luoghi della montagna bergamasca si desume la presenza dell’òm selvàdegh e se ne presentano le caratteristiche esteriori, le abitudini e la “filosofia di vita”. Dall’analisi di più evidenti aspetti del mito si traggono considerazioni e ipotesi relative all’origine del fenomeno e allo scontro cruento con l’uomo civile, che demonizzò il selvatico espropriandolo giorno dopo giorno del suo territorio. Si fanno risalire all’ òm di bosch le figure di Arlecchino, di Gioppino e del pòer Piéro, fantoccio arso un tempo a Bergamo a Mezza Quaresima.

LUIGI TIRONI.
CONDOTTIERI ED ESERCITI ATTRAVERSO LE ALPI: ANNIBALE, CARLO MAGNO, NAPOLEONE. (p. 91-101)
A dieci secoli l’uno dall’altro, tre grandi generali alla testa di potenti eserciti osarono attraversare la grande barriera delle Alpi per invadere l’Italia, affrontando gravissimi disagi, difficoltà e pericoli: Annibale nel 218 a.C., Carlo Magno nell’800 d.C. e Napoleone alla fine del secolo XVIII.
Diverse erano le situazioni storiche, le disponibilità di mezzi di trasporto e la potenza delle armi, ma analoghe le avversità naturali, l’estrema difficoltà di transito, i pericoli affrontati; ma analogo il coraggio e la determinazione dei comandanti, la loro capacità di sostenere e sospingere migliaia di uomini, convincendoli ad affrontare tante fatiche e dolori.

ERMINIO GENNARO.
DONNA MISTERO SENZA FINE BELLO. DONNE IN ATENEO. (p. 103 -107)
Suggerito dall’annuale Festa della Donna è stato il tema relativo a Donne, mistero senza fine bello (G.Gozzano) che ha fatto da motivo conduttore a due interventi sulla presenza femminile nell’Ateneo di Bergamo: uno di Erminio Gennaro e l’altro di Umberto Zanetti. A studiarne la consistenza, i ruoli la peculiarità nel corso dei 365 anni di storia dell’istituzione è rivolto l’articolo di Gennaro

UMBERTO ZANETTI.
POETESSE E SCRITTRICI DEL NOVECENTO NELL’ATENEO DI BERGAMO. (p. 109-118)
Nella circostanza della giornata internazionale della donna si ricordano le rappresentanti del gentil sesso che nel corso del Novecento sono state aggregate all’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Bergamo. Affermatisi in un contesto sociale e culturale ancora non del tutto favorevole al riconoscimento della piena parità, vantarono meriti considerevoli nel campo della creatività e in particolare della poesia. Si tratta delle seguenti accademiche: Emilia Belli, Rosetta Marinelli Ragazzi, Tullia Franzi, Emma Gandini Arnoldi, Elvira Maria Vallinari Lebbolo, Mariana Frigeni Careddu, e Rina Sara Virgillitto. Di ciascuna di loro viene dato il testo di una composizione poetica.

LINO LAZZARI.
MALPENSATA: UN BORGO COSTRUITO IN 100 ANNI. (p. 119-138)
Il borgo della Malpensata è quello che, tra i quartieri periferici della città di Bergamo, sicuramente ha avuto il più ampio sviluppo nell’arco di soli 100 anni (dal 1900 al 2000). Le vecchie cascine di un tempo di anno in anno sono state abbattute lasciando il posto a case confortevoli, ville e condomini e alle poche centinaia di abitanti (contadini nella quasi totalità) altri se ne sono aggiunti portando il numero di persone ad oltre 5.000 unità.
Accanto alle abitazioni sono sorte 4 nuove chiese aperte al culto pubblico, 4 stabilimenti, 8 case di accoglienza a scopo assistenziale, 5 istituti scolastici, 1 clinica ospedaliera, 1 istituto per le ricerche farmacologiche, oltre a numerosi altri servizi pubblici, come farmacie, banche, supermercati, bar, officine e così via.
Concluso il secolo XX per la Malpensata si è iniziato il III millennio con i migliori auspici per una vita comunitaria capace di assolvere ogni esigenza sul piano religioso, educativo, economico e sociale.

ELISA PLEBANI FAGA.
RABRINDANATH TAGORE (pagg. 139-147)
Tagore nasce a Calcutta nel 1861 da una ricca famiglia della nobile casta dei Bramani. Partecipa in compagnia del padre, molto religioso, a viaggi devozionali in Himalaya: un’esperienza di grande peso. Iscritto a corsi di studio regolari si mostra insofferente della disciplina e si immerge nello studio della Poesia. Si dedica alla composizione di versi il cui tema centrale sarà la gioia di raggiungere l’Infinito cogliendo dal finito la presenza perenne del divino nel suo perpetuo rinnovarsi. Saranno però la nascita dei figli, con il conseguente impegno educativo, e i continui viaggi d’obbligo per l’amministrazione del suo patrimonio a porlo di fronte alla durezza della vita quotidiana e alla miseria e all’analfabetismo. Su queste basi poggerà le sue future opere umanitarie e la realizzazione di scuole aperte a tutti senza distinzione di casta o di sesso. Colpito da numerosi lutti famigliari seguiterà a scrivere versi vibranti di tensione nella ricerca di Dio. Nel 1906 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura e devolverà la somma del premio, come tutti i diritti di ogni sua opera o conferenza alla scuola istituita nella sua tenuta. Si lega d’amicizia con il Mahatma Gandhi i cui principi di non violenza Tagore sostiene ed espone, diffondendoli in tutta l’India e per il mondo.
Muore nel 1941.

GUSTAVO BURATTI ZANCHI.
LONGINO CATTANEO ED IL MOVIMENTO DOLCINIANO 700 ANNI DOPO. (pagg. 149-162)
Il movimento apostolico era propugnatore di un ritorno all’originale messaggio evangelico per instaurare una comunità fraterna di uomini e donne liberi ed uguali.
Dolcino ne diviene il Leader dopo il rogo del fondatore Gherardino Segalello ( Parma 1300).
Buratti mette in risalto la figura del principale seguace, il bergamasco frà Longino Cattaneo, ed esamina le ragioni per cui i montanari valsesiani si riconobbero nella testimonianza dolciniana restando ribelli alla crociata (1305/1307) bandita contro di loro dai vescovi e dai feudatari.
Dopo il terribile supplizio inflitto a Dolcino, alla sua donna Margherita ed ,a Biella, al suo luogotenente Longino, si ebbe nella bergamasca ( specie a Martinengo) una sopravvivenza del movimento apostolico conclusasi con un rogo di dodici eretici che suscitò un’indignata protesta popolare.””

SILVIA CALDARINI MAZZUCCHELLI.
LA DIMENSIONE CIVILE DEL MUSEO OTTOCENTESCO DI PAOLO VIMERCATI SOZZI NELLA SUA RIFLESSIONE SUL PRESENTE E SUL PASSATO. (p. 163-176)
Nella temperie culturale ottocentesca il mito del Rinascimento per il colto nobiluomo Paolo Vimercati Sozzi si traduce nella riscoperta del giardino come luogo ideale del collezionismo antiquario. Le suggestive vedute edite nel 1815 a Parigi nel prezioso volume Architecture toscane di Auguste Famin e Auguste-Henri-Victor Grandjean de Montigny alimentarono il suo immaginario con atmosfere sospese fra l’eternità della pietra e la fugacità della natura.

UGO PELANDI.
LUIGI PELANDI: UNA LUNGA VITA DI CULTURA, DI SCRITTI, DI AMORE ALLA CITTÀ E
AI CITTADINI. (p. 177-185)
Viene rievocata la figura di Luigi Pelandi, segretario di Paolo Gaffuri alle Arti Grafiche con il quale avvia una collaborazione creativa, che produrrà autentici capolavori tipografici ed editoriali, per l’epoca eccezionali e di avanguardia, importando tecniche e idee da Stati Uniti, Francia, Germania, Austria, Inghilterra, spesso migliorandone i risultati.
Tra questi capolavori vanno ricordati “Cento Capolavori della Rinascenza Italiana”, la collana di 117 volumi dell’ “Italia Artistica”, il “Ritratto Italiano”, preziose edizioni della “Vita Nova” e dei “Promessi sposi”, oltre alla produzione editoriale ed artistica aperta alla storia di Bergamo.
Dopo la partecipazione alla I guerra mondiale, per la quale riceve la medaglia d’oro, diviene direttore editoriale delle Arti Grafiche, che lascerà soltanto a 65 anni per andare in pensione. Successivamente sarà comunque partecipe e protagonista di molti eventi ed iniziative culturali, dalla direzione di “Bergomum”, alla creazione della Società Incoraggiamento Belle Arti e del Circolo Artistico. Fu anche socio dell’Ateneo, del quale tenne per anni la tesoreria, e naturalmente compose le “Passeggiate per le Vie di Bergamo Scomparsa” a cui si dedicherà sino ai 90 anni.
Nel suo archivio rimangono raccolte diverse: dalla collezione degli ex libris, a carte topografiche, fino all’imponente gruppo di manifesti teatrali, che sono serviti e servono spesso per l’allestimento di esposizioni teatrali e storiche della nostra città.

VERONICA MASNADA.
LA CHIESA DEL SANTO SEPOLCRO DI ASTINO A BERGAMO: UNA RICERCA DI STORIA
DELL’ARCHITETTURA MEDIEVALE. (pagg. 187-212)
L’incrocio di testimonianze e documenti riguardanti la chiesa del Santo Sepolcro di Astino ha permesso una rivalutazione critica della tradizione che riconosce nel 1117 l’anno di consacrazione e dedicazione della chiesa, implicitamente riconosciuta nei resti medievali ancora oggi osservabili. L’analisi della Regula Pergamenacea, un antico codice del monastero, e il confronto stilistico della volta a crociera con gli esempi presenti in nord Italia hanno portato ad una nuova prospettiva sulle origini della chiesa del monastero. In particolare l’accostamento con le chiese di S. Giorgio di Almenno e S. Benedetto in Vall’Alta è risultato prezioso e significativo per l’indagine delle architetture medievali. L’edificio che si è conservato ad Astino potrebbe quindi essere datato alla metà del XII secolo, vale a dire a quel periodo di massima ricchezza e riconoscimento del monastero durante il quale all’edificio viene aggiunto il transetto, probabilmente grazie all’intervento del vescovo della città Gregorio.

MICHELA GATTI.
LITURGIA E ARCHITETTURA: L’ANTICA CATTEDRALE DOPPIA DI BERGAMO NEL LIBRO ORDINARIO DEL VESCOVO GIOVANNI BAROZZI (SEC. XV) (pagg. 213-235)
Il lavoro si prefigge lo scopo di ricostruire la realtà architettonica dell’ecclesia bergamasca della metà del XV secolo attraverso lo studio del Liber Ordinarius del vescovo Giovanni Barozzi, documento posteriore al 1456 e conservato nell’archivio diocesano di Bergamo, che ci restituisce l’ecclesia bergamasca dominata ancora da tre chiese principali: la cattedrale doppia, ovvero San Vincenzo con Santa Maria, e la chiesa di Sant’Alessandro, ormai inclusa nella cinta muraria cittadina. Ma ha consentito di definire un po’ meglio le funzioni liturgiche che dettavano tale contesto architettonico e ha inoltre mostrato una lenta ma inequivocabile evoluzione verso la definizione come centro della ecclesia del complesso cattedrale a discapito di Sant’Alessandro e, nel gruppo cattedrale, un’accresciuta importanza di Santa Maria Maggiore. L’ordinarium del vescovo Barozzi risulta inoltre un documento prezioso anche per la restituzione della realtà architettonica dell’antica basilica di San Vincenzo, della quale nulla è rimasto. In tal senso esso risulta un’imprescindibile fonte di supporto ai recenti scavi effettuati sotto l’attuale Duomo che hanno portato in luce i resti della basilica precedente. Ma è bene precisare che trattandosi di un edificio scomparso ogni affermazione è destinata a restare un’ipotesi.

GIORGIO BERTAZZOLI.
MONSIGNOR EUGENIO NORADINO TORRICELLA: UN SACERDOTE BERGAMASCO TRA
ANTIFASCISMO E FRANCIA DI VICHY. (pagg. 237-245)
L’intervento, dopo una breve presentazione delle fonti storiche e il profilo biografico del sacerdote bergamasco, si è in particolar modo soffermato sulle cause misteriose che portarono alla morte del prelato. Il punto della questione è stato quello di capire come mai l’ antifascista Torricella della diocesi di Bergamo , costretto a lasciare l’ Italia per la Francia nei primi anni ‘ 20 del 900 con l’ avvento del regime, viene misteriosamente freddato vent’ anni più tardi da mano comunista.

LUCA UBBIALI.
L’ASSISTENZA AI POVERI A CANONICA D’ADDA TRA OTTO E NOVECENTO.
(pagg. 247-262)
Il contributo esamina l’attività assistenziale a in un periodo storico di rinnovamento a livello istituzionale in questa materia, e in particolare l’aiuto ai più bisognosi da parte di quattro legati pii e della Congregazione di Carità, sottolineando la specificità del comune di Canonica d’Adda in tale contesto.

LUIGI PILON.
IL MELODRAMMA A BERGAMO NEI SECOLI XVII E XVIII (CON CRONOLOGIA DEGLI SPETTACOLI) (pagg. 263-310)
Come apprendiamo da padre Donato Calvi, che ne parla nella sua “Effemeride”, il primo melodramma dato a Bergamo fu “L’Ercole effeminato”, con musica di Maurizio Cazzati, maestro di cappella di Santa Maria Maggiore. L’opera fu data l’8 gennaio 1654 nel Palazzo della Ragione, trasformato per l’occasione in teatro, dove ottenne un grande successo. Ad essa, nel corso del Seicento e del Settecento ne seguirono altre, rappresentate in provvisori teatri di legno costruiti in case private o in Cittadella. La prova è data dai libretti, che catalogati da Claudio Sartori nella sua ponderosa opera “I libretti italiani a stampa dalle origini fino al 1800”, ci hanno permesso di ricostruire, in questo nostro saggio, il cammino compiuto dal melodramma a Bergamo nella seconda metà del Seicento e nel Settecento.

ALVIN DE VECCHI.
I SANTA CROCE. (pagg. 311-336)
I Santa Croce rappresentano probabilmente la più vasta ed articolata dinastia di pittori bergamaschi. Originari dell’omonimo borgo brembano, alcuni membri del casato si trasferiranno verso la fine del ‘400 a Venezia, dove svolgeranno prevalentemente l’attività di pittori, dando il via ad una sorta di tradizione professionale di famiglia che si protrarrà fino all’inizio del ‘600. Stilisticamente i Santa Croce si rifanno all’arte veneta del tardo ‘400, che può apparire ormai obsoleta, ripetitiva di fronte alle creazioni di un Tiziano o di un Tintoretto, ma che incredibilmente continuerà a riscuotere un certo successo presso un buon numero di mecenati. Si tratta di una tipologia di committenza poco conosciuta, ma piuttosto vasta e dinamica, non molto abbiente e legata a gusti artistici di sapore tardo quattrocentesco, presente soprattutto nelle zone periferiche della Serenissima ed in particolar modo nei frastagliati domini della Dalmazia. I Santa Croce sapranno abilmente soddisfare le esigenze di questi mecenati, inserendosi in quel complesso intreccio di rapporti culturali, commerciali e militari che legava fra di loro tutti i territori sotto l’egida del leone di S. Marco.

ELIANA ACERBIS, NAZZARINA INVERNICI.
DOROTEA MORELLI DA SAMBUSITA, UNA LUGANEGHERA NELLA VENEZIA DEL SECOLO XVIII. (pagg. 337-345)
Nei primi decenni del Settecento, alcune donne agiate e colte riuscirono ad imporsi nella società del loro tempo, in quegli stessi anni, nella località di Sambusita, in valle Serina, anche una donna di modeste origini, Dorotea Merelli, seppe emanciparsi dalla tutela maschile e riuscì a condurre la sua vita in modo indipendente come imprenditrice di se stessa. Ciò è particolarmente rilevante perché ella dovette imporsi in un ambiente sociale piuttosto chiuso, in cui la donna era priva di potere, costretta com’era a faticare in casa e nei campi, mentre il suo ruolo era quasi esclusivamente quello riproduttivo.
Il tutto ebbe inizio quando la ragazza, lasciò il paese natale per seguire a Venezia il fratello Marco, che gestiva la bottega di famiglia, una salumeria; Dorotea si dimostrò capace nel lavoro di bottegaia tanto che, dopo la morte del fratello, il padre donò a lei l’attività e la lasciò libera di gestire i suoi capitali.
La donna, che mai si sposò, visse per molti anni a Venezia, in età matura vendette la bottega e si ritirò a Sambusita dove dispose liberamente dei suoi beni concedendo mutui agli uomini della zona. Alla fine della sua vita lasciò al fratello ed al nipote solo i beni immobili ereditati dal padre, e dispose che il suo capitale fosse usato per l’ istituzione di una Cappellania a suo nome, sottraendo di fatto ai famigliari tutti i frutti del suo lavoro e dalla sua abilità negli affari..